In una periferia sospesa tra metropoli e natura selvaggia, dove l'unica legge sembra essere quella del più forte, Marcello è un uomo piccolo e mite che divide le sue giornate tra il lavoro nel suo modesto salone di toelettatura per cani, l'amore per la figlia Sofia, e un ambiguo rapporto di sudditanza con Simoncino, un ex pugile che terrorizza l'intero quartiere. Dopo l'ennesima sopraffazione, deciso a riaffermare la propria dignità, Marcello immaginerà una vendetta dall'esito inaspettato.
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Prima di questo film penso che pochi conoscessero la vicenda del Canaro, uno dei delitti più efferati di cronaca nera italiana. E per chi la conoscesse, non si deve aspettare di vedere un qualcosa tipo Hostel. Garrone prende spunto da questo fatto cronaca per raccontare una storia ambientanta in un contesto quasi metafisico, cemento e sterrato che sono il paesaggio desolato dominante di Dogman. E' un'ambiente squallido che Garrone delimita in maniera precisa e dal quale quasi mai ne esce fisicamente, come a creare un mondo suburbano a parte che può essere applicato a qualsiasi metropoli. Un piccolo mondo nel quale Marcello si trova a suo agio. Mite, dal carattere quasi ottimista e benvoluto da questa piccola comunità. Benvoluto dalle persone ed amato dai cani al quale dedica tutto il suo tempo. In un certo senso si sente protagonista di questo mondo a parte (reminescenze certamente di Reality), ma c'è letteralmente un cane sciolto dal volto umano con cui non riesce a stabilire un vero contatto. La prima sequenza sotto questo punto di vista spiega un po' il senso del rapporto tra Marcello e Simone, solo che l'uomo, a differenza del cane non è addomesticabile. Più tenta di addomesticarlo, più gradualmente perde la propria dignità, fino a smarrirla del tutto ed essere rifiutato da tutti. Garrone scava in profondità nei recessi della mente di Marcello ed in questo la prova di Marcello Fonte è veramente di livello assoluto, senza dimenticare comunque la contraparte di Eduardo Pesce. Il lavoro di regia e soprattutto della fotografia rendeono l'idea di come la lettura della realtà di Marcello fosse distorta. La breve sequenza dell'arrivo in carcere è un punto di cesura del film, dove ad una prima dai colori più caldi, si passa alle tonalità più fredde e cupe della seconda, in cui lo strumento della vendetta diventa il tentativo di recupero della propria dignità dopo tante umiliazioni, persino pubbliche. Una comunità che svela il suo volto più squallido, pronta ad emerginare il debole, ma come un gregge di pecore, inerme e codardo di fronte al cane sciolto Simone. Una vendetta inutile, priva di redenzione o catarsi e come in una delle tante favole un cavaliere che uccide il mostro ma che non verrà glorificato. L'immagine finale è qualcosa di tragicamente amaro e che colpisce in profondità.